Hristo Botev

Hristo BotevLa figura di Hristo Botev, appare nel buio firmamento delle lettere e della storia bulgara proprio in quel momento di più fonda oscurità che precede l’alba della liberazione. Negli anni in cui Hristo Botev compie la sua leggendaria vicenda come il più romantico degli eroi ottocenteschi, al pari di Byron, di mameli, di Petöfy, crollando a ventotto anni fulminato da una palla turca su una collina del balcano, la situazione della Bulgaria è la più tragica e disperata tra tutte le province europee del “gran malato”: l’impero ottomano.

Minata dal disfacimento interno, dalle sedizioni e dagli arbitri dei capi locali, ma sostenuta già durante la guerra di Crimea dagli interessi di alcune potenze europee, la Turchia faceva pesare sui suoi sudditi cristiani, e particolarmente sui bulgari, che si trovavano nelle immediate vicinanze della capitale, sulla linea obbligata di passaggio di tutte le strade di comunicazioni militari e commerciali dell’impero ottomano, un regime arbitrario ed oppressivo di sopraffazione religiosa, in un’atmosfrra feudale, dove a malapena riuscivano ad afférmarsi minuscoli e slegati sforzi di artigiani, di sacerdoti e di pochi intellettuali.

La classe dei ricchi proprietari, i corbadzi (1), per conformismo e per interesse, sosteneva il potere turco; il clero greco, infiltratosi nell’ultimo secolo nei maggiori centri cittadini, svolgeva una capillare campagna di snazionalizzazione fra le classi medie, e di sopraffazione contro il clero nazionale bulgaro, senza esitare a ricorrere al potere ottomano con le più indegne calunnie onde evitare l’affermarsi degli elementi di cui temeva la concorrenza e la funzione nazionale.

La Porta, poi, lusingava le potenze europee con propagandistici progetti di rforma, destinati ad esaurirsi nei firmani del sultano perchè minati da un dilemma senza uscita: o la Turchia aboliva l’ordinamento feudale, che era il fondamento della società ottomana, e sarebbe perita nella trasformazione, o compiva una trasformazione democratica soltanto apparente, conservando a spese dei sudditi cristiani l’effettivo predominio degli elementi musulmani.

Si aggiunga che ogni nuovo colpo che la forza militare russa portava già dal 1700 alla potenza turca nella sua avanzata verso il Mar Nero e il Bosforo, aveva un enorme e doloroso contraccolpo sulla posizione dei cristiani in Turchia; su di essi, infatti, precipitava prima l’esasperata diffidenza ed il timore dei musulmani durante le crisi militari e politiche, poi, dopo ogni sconfitta, il rancore e la persecuzione dei fanatici, e un nuovo giro di vite del regime ottomano, che doveva salvare, come e dove poteva, le sue posizioni residue.

Solo chi tenga presenti questi fatti, solo chi riesca, sia pur con uno sforzo di fantasia, a figurarsi quale potesse essere la vita del popolo bulgaro (piantato, in verità, come una spina nel polmone europeo dell’imipero ottomano), solo chi pensi alla desolata arretratezza di quel territorio, separato per cinque secoli dal resto dell’Europa, sprovvisto da tutto ciò che rappresentava cultura e civiltà moderna, può comprendere quale fosse la condizione reale dei Bulgari, e quale la spaventosa energia vitale che essi dovevano possedere, per non essere travolti e spazzati via.

A causa della loro situazione geografica e delle disavventure della loro storia che da secoli aveva fatto sparire non solo lo stato, ma anche l’intera classe dirigente nazionale lasciando null’altro che un ” vulgo disperso che nome non ha “, i bulgari subiscono danni esiziali persino dai fatti militari e politici che ridonano la libertà alla Grecia ed ai paesi vicini.

La guerra d’indipendenza della Grecia, la liberazione dei Serbi, i movimenti in Valacchia ed in Moldavia portarono tutti come naturale ripercussione, un inasprimento della situazione della Bulgaria, un maggiore accanimento del terrore poliziesco ottomano,,una paralisi ancor più grave del commercio, dei traffici e della cultura.

Conisiderando questi fatti, non possiamo stupirci di trovare la Bulgaria, all’epoca di Botev, così arretrata rispetto a tante altre contrade europee; ma meravigliarci piuttosto che in tali condizioni essa avesse potuto, già da un secolo, promuovere un movimento di cultura ed educazione nazionale; come avesse lanciato il suo artgianato alla conquista delle posizioni abbandonate dalla Turchia; come avesse promosso, nei villaggi e nelle cittadine lungo il Balcano, una certa vita non priva di espressioni d’arte e di interessi culturali; come avesse conquistato, infine, attraverso numerose famiglie ed individui pieni di idee e di capacità, notevoli posizioni nel commercio dei pollami, delle essenze di rose, del tabacco, della frutta e degli agrumi con l’Occidente europeo.

È proprio questo formicolio di vita, apparentemente slegata e caotica, e di cellule che, agendo parallelamente, vanno ricostruendo e rinsanguando un organismo indebolito, ma non morto, che ci spiega non solo la rapida ripresa dei Bulgari dopo la liberazione, ma anche il senso profondo di quei sussulti di ribellione a cui ogni tanto si abbandona in convulsi tentativi di riscossa, il popolo bulgaro.

Questa forse lunga premessa è necessaria per capire e valutare appieno l’opera e la vita di un romantico idealista come Botev, spentosi troppo presto per poter dare una compiuta misura di sè e del suo ingegno, ma dotato di tale intensa luminosità da rischiarare con l’esempio della morte e con l’opera sua galvanizzatrice e rivoluzionaria di poeta, di rivoluzionario, di giornalista e di uomo politico, la vita e l’orizzonte dei suoi connazionali.

Nato il 25 dicembre 1848 in un piccolo paese, a Kalòfer, da un educatore, un insegnante noto per ingegno, per carattere e per sentimenti nazionali, Botev trovò in famiglia un ambiente culturale e morale di cui pochi altri connazionali, al suo tempo, potevano godere. Ma ebbe anche l’occasione fin da allora, di soffrire nel vivo le amarezze di un intellettuale isolato in un ambiente rozzo e incolto, che adorava solo il denaro e il potere politico.

Ebbe presto l’occhio aperto a cogliere la miseria sfruttata dalla superstizione, dalla prepotenza e dalla frode dei potenti, dalle autorità e, ahimè, a volte dal clero; ebbe l’amaro disinganno di vedere nella persona del padre, colpita ripetutamente dai corbadzi, l’indipendenza morale, la fierezza e l’ardore per la causa nazionale.

È in Botev adolescente, poco più che un bambino, che gettano radici quei sentimenti di rivolta, quell’indomita passione patriottica, quegli odi sociali che saranno i motivi dominanti del suo carattere. La conoscenza di una realtà così dura e così amara genera in Botev la rivolta, l’assoluta impossibilità di accettare un compromesso o di piegarsi all’acquiescenza. D’altra parte, ancora non sono mature le condizioni per attuare una reale riforma dell’ambiente bulgaro o per ottenere una cosciente coordinata partecipazione degli elementi più maturi della società bulgara, troppo frazionata, divisa in opposti clans e angustiata dalla mancanza di libertà, per potere assurgere ed operare in un movimento di proporzioni veramente nazionali.

Ed è quindi evadendo dalla Bulgaria e cercando prima in Russia e poi in Romania gli esuli ed i ribelli, come Rakovski e Karavelov, che Botev cerca di trovare una soluzione anche pratica a questa sua febbre di rivolta e di rinnovamento, e di tradurre in un programma di azione l’amaro, disperato amore per il suo popolo, che l’accompagna per tutta l’esistenza, mai disgiunto da una pessimistica e critica conoscenza della situazione, degli uomini e delle circostanze.

Si può dire che questo desiderio implacabile d’azione è alla base di tutta l’agitata e spesso disordinata vita di Botev; tanto del suo meraviglioso ardimento che delle sue debolezze, tanto delle sue spietate rinunce alla famiglia paterna e poi agli affetti più cari, di padre e di sposo, che della sua pervicace e partigiana passione politica. Ad esso è dovuta la perenne oscillazione di questo ingegno, caldo ed impulsivo, dominato dal desiderio di agire e di fare, fra la realtà ed il sogno, fra il possibile e l’irreale, fra l’entusiasmo e la disperazione, continuamente travolto ora da speranze e slanci troppo alti, ora da realtà troppo amaramente crudeli.

La spesso turbolenta successione delle imprese giornalistiche ed editoriali, avviate da Botev, le modificazioni stesse del suo pensiero politico, che non riesce (nè lo poteva) a fondere ed a conciliare in un piano organico elementi disparati raccolti via via dagli estremisti russi e dai liberali di Occidente, simpatie nichiliste e ardori garibaldini, vaghi echi di messianesimo polacco ed idee raccolte in furibonde e mal digerite letture di testi politici, ci mostrano, con evidenza cronologica, la disperata avventura della sua vita.

Gettatosi ancora ragazzo allo sbaraglio, pronto ad affrontare ogni ostacolo ed ogni più grossa miseria, pur di conservare piena libertà d’azione e rimanere fedele ad un ideale morale e nazionale, Botev trovò nell’azione più che nella teoria, la soluzione di quel disagio, di quel conflitto con la realtà che fu l’amaro romanzo della sua esistenza.

Tratto caratteristico di Botev è la sua prontezza a pagare di persona, a non sfuggire il rischio, ad assumersi la responsabilità.

Nella sua personalità, per la prima volta, assai meglio che in quella degli scrittori che pure lo hanno preceduto, come Rakovski o Karavelov, organizzatori abili ma prudenti, pensiero ed azione si fondono in una unità inscindibile.

Il rischio, per lui, il patimento, l’ardore diventano regola quotidiana; ed è appunto questa estrema decisione di Botev, questa sua capacità di prendere su di sè la responsabilità e di pagare di persona, che finisce appunto per separarlo completamente dal primo gruppo rivoluzionario, che dopo aver vanamente fomentato l’azione di bande, da inviare in territorio bulgaro, dopo aver vanamente sperato nell’aiuto concorde agli altri stati balcanici (Serbia, Montenegro, Romania e persino Grecia) o della Russia, ripiega su un vasto programma di elevazione culturale e di maturazione politica, rinviando a tempi migliori la grande impresa della liberazione.

Botev, invece, non ammette attività culturale che non sia sorretta anche dalle armi; non concepisce vero risorgimento nazionale senza che i fattori politici abbiano fondamentalmente mutato la struttura interna e le condizioni della Patria.

A differenza degli emigrati più anziani, Botev porta la bruciante esperienza della più recente vita bulgara; ed è convinto che la penna ed il libro, ed anche la fresca autonomia della chiesa bulgara, siano fattori di effetto troppo lento e troppo sporadico per operare tempestivamente ed in profondità su tutto il popolo bulgaro, fintanto che il giogo ottomano peserà come una lapide sul sepolcro della sua libertà.

E Botev è anche il primo intellettuale e scrittore che, forse sotto l’influsso dei rivoluzionari russi, appoggiandosi soprattutto alla esperienza dei grossi capi delle bande rivoluzionarie che più volte avevano sfidato i Turchi varcando il confine serbo o romeno, come Karadzà (2) i o Totjù, sia convinto della necessità di aiutare lo sforzo dell’emigrazione bulgara e l’attività delle bande inviate dall’estero con una fitta rete di comitati rivoluzionari nell’interno del paese; comitati ai quali va devoluta e la preparazione della opinione pubblica e la formazione dei quadri della insurrezione e la preparazione dettagliata e metodica della grande sollevazione nazionale, che sarà iniziata al momento opportuno, quando la ruota degli avvenimenti europei porgerà l’occasione favorevole.

Ed è proprio questo principio che legherà intimamente Botev a Vasii Levski, l'” apostolo ” che finisce impiccato alle porte della prigione di Sofia, dopo aver creato con l’opera che gli meritò quell’appellativo, una rete sotterranea di collegamento che cominciò a far fermentare in tutta la Bulgaria non solo una coscienza nazionale combattiva, ma anche la disposizione ad una attiva azione armata per conquistare interamente la libertà.

Purtroppo, il tempo a disposizione di Botev come quello già a disposizione di Levski fu troppo breve per dare pienamente i suoi frutti ; persino in Italia, dove pure diverse erano le condizioni politiche e culturali, la propaganda mazziniana e l’operato garibaldino incontrarono solo lentamente, a prezzo di enormi difficoltà e di grandi sacrifici di sangue, il consenso del popolo.

La posizione di Botev è per certi aspetti simile a quella degli sfortunati eroi dei primi tentativi mazziniani, e ricorda da vicino, come esito, quello dello sbarco di Pisacane a Sapri (tanto a lui noto, che premise la versione di una strofa di Mercantini ad un suo articolo dedicato a un glorioso episodio della guerriglia condotta dalle bande bulgare di insorti contro i Turchi). Egli cadrà vittima appunto della inevitabile immaturità del tempo, dell’illusione di riuscire da solo, cori la prepotente forza della personalità e dell’ingegno, ad affrettare il ritmo della storia. Quando nel 1876, in vaga concomitanza con l’insurrezione della Bosnia Erzegovina, scoppia in Bulgaria nella Sredna-Gora un insurrezione popolare, Botev si illude che il tempo sia ormai giunto, che la situazione politica dei Balcani si accompagni favorevolmente ad una buona preparazione rivoluzionaria nell’interno del Paese, e messosi a capo di 200 giovani, si impadronisce di un piroscafo della linea di navigazione danubiana austriaca, il “Radetzky “, e costringe il capitano a sbarcarli su un punto della costa bulgara.

Come i trecento di Sapri, toccando il suolo patrio, i ribelli si inginocchiano c lo baciano.

Indossano strane uniformi cucite in famiglia; il loro armamento e costituito dalle armi più strane, raccolte attraverso mille canali.

Botev ha lasciato la moglie ed una bimba piccina; e la sua lettera di congedo è uno dei documenti più nobili che un uomo possa lasciare di sè. Ma ancora una volta la realtà stronca il sogno. Gli insorti nel paese, sono stati già distrutti e volti in fuga.

I villaggi attraverso i quali passa Botev, sono ostili e indifferenti; alcuni per timore dei Turchi, altri perché ritengono i ribelli una banda di briganti. I congiurati delle cittadine vicine, che dovevano insorgere, dopo aver tentato qualche modesto assembramento, si disperdono e rientrano nella normalità e nella paura, tranne pochi compromessi che si danno alla macchia.

La banda, isolata su per i monti, bloccata dai Turchi, affronta il nemico con la forza della disperazione.

Accanto alla bandiera su cui e scritto ” Libertà o morte”, Botev cade il 30 maggio del ’76, colpito al petto; la banda viene circondata e distrutta, i sopravvissuti condannati a lunghe detenzioni e all’esilio. Si rinnova la fine di Hadzj Dimitàr, che presago, Botev aveva cantato in strofe vibranti. Come lui entrerà nella leggenda e nel mito.

Pochi scampano; e i Turchi infilano sulle picche le teste dei ribelli e le portano con grida di scherno e minacce attraverso i villaggi bulgari, per riaccendere la paura e per sgominare gli spiriti inquieti.

Data un’esistenza così tormentata, così breve, in un ambiente così poco propizio per un armonico solido sviluppo culturale, è chiaro che l’opera letteraria di Botev doveva puntare soprattutto su Fattori emotivi, sulla violenza e potenza del messaggio personale, sul suo prometeico sforzo, piuttosto che su quella raffinatezza, quella compiutezza artistica, quell’armonia cui venivano educati in Occidente per tradizione, ambiente, tecnica anche gli scrittori minori. Qualcosa di incompiuto, come un potente torso incompiuto, rimane sempre anche nelle pagine più belle di Botev.

Siamo sempre, anche nei momenti più luminosi e geniali, di fronte ad una improvvisazione che conserva ancora le scorie del rozzo materiale dal quale è nata, della impazienza con la quale è stata lanciata:

messaggio, grido, confessione.

E, d’altra parte, proprio per la sua interiore intensità, per il tragico travaglio che la determina e l’arroventa, per la sincerità stessa con cui si ribella alla realtà e la combatte e la vuol superata, l’opera poetica di Botev segna uno dei punti culminanti della letteratura poetica dell’8oo bulgaro

C’erano già stati prima di lui poeti di un certo rilievo, verseggiatori ammaliziati ed anche abili, qualche poeta, come per esempio Petizo Slavejkov, di notevole valore e prestigio; ma con Botev pare che il retaggio artistico dell’immenso patrimonio della poesia popolare che stava dietro, in sordina, alla letteratura bulgara moderna, di fronte ai modelli europei occidentali e russi, entri violentemente nella tradizione letteraria nazionale assumendo un volto ed un nome.

Poichè, mentre il riecheggiamento della poesia popolare, come comodo espediente, aveva pur formato una fonte a cui ricorrevano molti artigiani del verso, soprattutto ansiosi di sfruttarne la tecnica, la modulazione facile e melodiosa, la lingua pura e scintillante senza pedanterie e arcaismi, per un’arcadia villereccia o per una epica convenzionale, Botev l’assume e la rivive in un impeto di passione politica e personale, la assimila per usarla come arma contro i nemici del pensiero e della libertà, ne fa un vessillo di rivolta ed uno strumento di confessione personale.

La sua voce si ingigantisce ed echeggia come quella di un bardo e di un cavaliere del Graal, assumendo una potenza minacciosa e profetica. Egli sogna, ma soprattutto ammonisce, impreca, grida; epopea e lirica si identificano nel suo canto di tribuno infaticabile, e di uomo profondamente infelice e tradito dai tempi.

I 20 poemi di Hristo Botev, tanti ce ne ha lasciati, anche se di vena e valore disuguali e troppo spesso legati ad un’occasione o ad uno spirito che il tempo ha poi corroso, restano un formidabile documento umano ed una potente confessione poetica.

proprio nella poesia, la personalità di Botev, il suo indomito e ribelle spirito, la sua irruenza, sono, nei momenti di grazia, la forza divina che lo spingono al bello artistico, che gli illuminano il cammino poetico di voli e di fiammate prestigiose, dove si fondono l’uomo, il guerriero e il poeta, in una unità formidabile che spicca, come una montagna, sulla modesta letteratura bulgara dell’800 anteriore alla liberazione.

Non bisogna quindi stupirsi se la Bulgaria lo venera come uno dei suoi grandi eroi nazionali e lo legge con inesausta passione ed interesse come il primo suo grande poeta moderno.

Senza Botev, non solo l’orizzonte politico bulgaro sarebbe rimasto scialbo ed assai più povero prima della liberazione, ma anche la tradizione letteraria bulgara sarebbe stata privata di una personalità dominante, che ancora ai nostri giorni esercita una influenza interna ben percettibile su tutta una corrente importante di poeti bulgari, da Javorov a Vapcarov, da Penco Slavejkov ai modernissimi.

Ma non dimentichiamo che Botev è grande, non per i programmi, in fondo nebulosi e contraddittori che egli abbozza via via nei suoi articoli e che tralucono talvolta anche nella poesia, ma per la magnifica avventura della sua vita e per il miracolo dei suoi canti; per l’ardore, la dedizione, l’idealismo, il sacrificio e la passione che ne illuminano i versi e le azioni, gli ideali e i fatti.

A giusta ragione, non solo i bulgari, ma gli europei possono riconoscere in Botev uno dei più puri campioni della libertà nazionale e degli ideali dell’8oo.

LUIGI SALVINI

(da “Liriche e Brani Scelti” – Edizioni di Cultura A.I.B. – Roma – 1958)

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